Quinque Liber-Dies Secundus-Ignoscere

QUINQUE LIBER

Washington D.C. – Abitazione Cooper – 13 dicembre 2017 ore 20.30.

La cucina in grande disordine confermava l’assoluta incapacità di Julien di confrontarsi con le arti culinarie. Era padrone di qualche ricetta che proclamava con fare trionfante, anche se era consapevole che riprodurla con sobrietà operativa era ben altra cosa. Anche un piatto di semplice routine richiedeva il ricorso a una quantità ridondante di pile, padelle e vassoi di varia grandezza. Il risultato gastronomico non riusciva a giustificare il marasma in cui versava la cucina dopo ogni sua faticosa performance.

Veniva premiata la buona volontà, soprassedendo sempre sulla confusione, e a volte, anche sulla qualità del risultato. Aska e Claire erano molto comprensive sul tema, uno sguardo tra loro bastava a ringraziare per la cena, passando velocemente a dolce o frutta.

A Julien era sufficiente fossero a cena tutti assieme, condividere un frammento di tempo, confrontarsi con la vita delle figlie, cercando di evocare una famiglia orfana di un pezzo troppo prezioso per essere sostituito solo da vecchie abitudini.

“Papà vado a dormire da Elen, ci vediamo direttamente domani all’ospedale verso le 14.00.” Disse Claire cercando con lo sguardo le chiavi di casa.

“Va bene, cercate di non fare tardi. Nel pomeriggio dobbiamo riportare Askaa casa, mi hanno confermato le sue dimissioni”.

“Certo, non ti preoccupare. Domani non abbiamo neanche lezione all’università. Colazione, studiamo un pochino e vengo in ospedale. Non vedo l’ora di riavere a casa mia sorella, mi manca molto. Ma veramente molto”.

“Domani aperitivo per festeggiare il suo rientro a casa”.

“Assolutamente! Buonanotte papà, a domani”.

“Buonanotte Claire, ci vediamo in ospedale”.

Il rumore della porta lasciò spazio a un’indefinita solitudine circondata di silenzio. Julien fece un giro nella cucina, osservò con cura il disordine unto e umido. Si assicurò di aver chiuso il frigorifero in acciaio chiaro e si diresse quasi rassegnato in salotto.

“Domattina sistemerò tutto senza fatica” pensò mentre si accomodava scomposto sul divano.

Accese la televisione mentre cercava gli occhiali; era libero di scegliere il canale, il programma a piacimento senza le intemperanze di Claire e Aska. Senza Caroline.

I pensieri offuscavano le parole del notiziario, era soffocato da ricordi, timori e tanta stanchezza.

Abbassò l’audio del televisore, non voleva più resistere alle ombre dei flashback, aveva bisogno di Caroline, voleva parlare del suo vuoto, lasciarsi andare a tutte le sue insicurezze.

“Pensi vivere sia facile, credi che quelli chiamati con superficialità dozzinale amici, ti aiutino veramente quando serve, o sono i primi giudici delle tue condotte? Sappi che sono anche i più severi e risoluti, non fanno sconti. Non credo ti occorra nulla da me, in particolare consigli. Mentre facevi finta di ascoltarli ci conducevi nel baratro. Forse vuoi quello che non ti ho accordato in vita, solo quello cerchi. Sei ipocrita fino in fondo. Non chiederlo più, non sarà mai dispensato perdono per quello che hai fatto, a me, alla famiglia, a te stesso”.

“Sono un essere umano, mi sia consentito l’errore e concesso il perdono. Ti ho amata sinceramente e devotamente. Siamo così deboli da farci annientare da un errore? Un errore Caroline. Un errore. Un cazzo di errore!” I pensieri di Julien si trasformarono in pianto.

“Non è stato solo un errore, ma un modo di vivere. Hai barattato una famiglia per soddisfare il tuo ego, la tua libido. Potere per sesso, lo schifo nello schifo”.

“No, stai strumentalizzando i fatti, sai che non è stato cosi”.

“Julien per quello che hai fatto non esiste perdono. Né stanotte, né mai”.

Il pianto fu smorzato dalla stanchezza e progressivamente da un sonno impastato di inutili rimorsi e rimpianti. Caroline era morta, e si stava trascinando dietro gli echi di un gigante insostituibile. Madre partecipativa, spesso anche padre, professionista riconosciuta, donna coinvolgente e affascinate, non riuscì mai ad accettare la mancanza di onestà intellettuale di Julien.

Un’immagine, un lampo, un respiro interrotto e il cuore di Caroline smise di battere sopra le ceneri del suo matrimonio dai colori scuri del veleno.

Il suo istinto aveva il quadro chiaro su cosa fare, il senso di responsabilità impose qualche freno ed ebbe la saggezza di farsi guidare dalla sua grande intelligenza, traghettando la sua famiglia oltre le menzogne di Julien.

“Stronzo! Mentire può anche essere scusato. Crearsi una vita parallela con il nulla, il niente, neanche si avvicina lontanamente a una menzogna, tracìma ineluttabilmente nel fallimento umano. Non saprò mai più chi ho di fronte, tantomeno di quale realtà si parla. Ne avevi tante. Troppe. Sarò costretta a non crederti più, maledetto! Il mio corpo condividerà con la tua ombra il tetto di casa, ma non ti azzardare più ad avvicinarti a me, neanche con un pensiero. Merda, mi hai costretta a sentire il puzzo della tua disfatta umana e morale”.

Julien conviveva solo con la parte colpevole della sua coscienza, non trovando scampo, spesso neanche nel sonno.

Riconosceva i suoi errori, a uno a uno, ma anche se in cerca di assoluzione non lo avrebbe ascoltato più nessuno, per alleviare il peso del suo irrimediabile passato.

“Mamma”, il richiamo di sua figlia lo svegliò di soprassalto. Un altro brutto sogno.

Riprese lucidità girando lo sguardo verso la finestra. Era notte fonda.

Si alzò faticosamente dal divano dirigendosi verso l’orologio della cucina, erano quasi le 2.30, le pentole ancora immobili e sporche sul lavandino. L’aroma non piacevole.

Andò a controllare se la porta di ingresso fosse ben chiusa prima di andare a letto.

“Mamma vieni”.

Julien deglutì girando lo sguardo verso le scale in legno che conducevano alla zona notte del primo piano. Non era un sogno, e la voce non sembrava di Claire.

Rimase immobile, limitò la respirazione per non coprire il silenzio della casa.

Nessun rumore, nessun movimento nel buio degli angoli circostanti. Doveva salire, ma era ostacolato e dominato da un fremito raggelante che accelerava un progressivo stato di ansia.

Lentamente arrivò a ridosso della scala, volse lo sguardo verso l’alto, ma era solo altro buio orfano di rumori, doveva salire.

In ogni gradino mille pensieri che si ostacolavano in mezzo a qualcosa di angosciante, Claire non era rientrata. Nel silenzio della notte gli scricchiolii del legno sembrano lame che tagliano il ghiaccio, la casa era improvvisamente sua nemica. Nessun altro richiamo.

Julien arrivò finalmente in cima alla scala, un ingresso antistante alle tre stanze da letto e un bagno. Si avvicinò verso la camera di Claire, la porta era chiusa.

Proseguì per altri due passi, la porta di Aska era accostata, raggelò nel vedere una luce fuoriuscire dallo spiraglio.

Cercò immediatamente una spiegazione umanamente incoraggiante:” Claire avrà dimenticato per l’ennesima volta la luce accesa. Spesso devo entrare a spegnerla”.

La voce aveva smesso di invocare “mamma”, magari il suo sogno si era protratto più del solito, per la luce avrebbe sgridato Claire.

Arrivò in prossimità dell’ingresso temporeggiando tra le sue razionali convinzioni, prese coraggio avvicinando lo sguardo in quella sottile striscia di luce, silenzio e quiete lo tranquillizzarono.

Rimase immobile, si pulì gli occhiali con il fondo della maglietta. Rialzò lo sguardo verso la fessura di luce e come il vento che prelude a una tempesta vide un movimento dentro la stanza che si concluse con un colpo sordo. Non era decifrabile, ma qualcosa di reale si era mosso nella stanza di Aska. La paura prese il sopravvento, una forma di terrore gli saliva dalla pancia, il cuore esplodeva, ma doveva aprire quella maledetta porta. Fece un passo indietro riguardando la porta un’ultima volta: “non possono essere dei ladri, né le mie figlie. Ma c’è qualcuno che sta giocando a mettermi paura”.

Aprì con energia la porta, rimanendo sulla soglia: nessuno, niente. Era tutto in ordine tra i chiaro scuri della abat-jour, lo sguardo si posò sul letto, l’unico che possedeva lati non a vista. La respirazione era pesante.

“Chi c’è? Chi c’è?” chiese con decisione e coraggio.

La mancanza di risposta e il silenzio ovattato contribuì al contenimento delle ansie.

Entrò in stanza, camminò sino alla sponda laterale del letto, girandoci intorno per arrivare all’abat-jour accesa. Notò che la bottiglia dell’acqua era caduta dal comodino. Julien ricollegò la bottiglia al rumore udito poco prima.

Nella quiete profumata della stanza di Aska percepiva qualcosa di sinistro, non riusciva a dare una forma alla sua paura, era una sensazione ferma nella pancia, che si irradiava attorno a lui in modo sregolato. Si sentiva osservato dal dentro della sua anima. Cominciò a ispezionare i singoli particolari per trovare una qualsiasi prova del suo tagliente malessere.

Si soffermò sulle bambole e pupazzi sparpagliati sui ripiani della libreria di fronte al letto.

Avvertiva vita dietro quegli occhi di vetro, un vetro malefico, terrificante che lo stava trapassando da parte a parte, ma tutto in un angosciante e drammatico immobilismo.

“Sono pupazzi, solo pupazzi. Qui non c’è nessuno, solo troppe paure. Devo smettere di sentirmi in colpa. Sono vivo, sono qui. Non c’è nessuno oltre le mie fantasiose questioni di coscienza” pensò Julien in cerca di convincimenti indispensabili per respirare meglio.

Prima di uscire soffermò il suo sguardo sul crocifisso sopra la porta. C’erano dettagli che non ricordava di quel crocifisso, come non fosse mai stato in quella stanza, vicino il soffitto.

Mentre si accingeva a prenderlo un rumore secco dal salone.

Julien saltò letteralmente sul posto, quasi perdendo l’equilibrio. Era la porta d’ingresso che si era richiusa: “Claire sei tu?” Gridò con un cenno di isteria Julien.

“Ciao papà, si. Scusami ma Elen non si è sentita bene. Meglio dormire a casa. A proposito ma non dormi a quest’ora?” Rispose salendo Claire.

Julien istintivamente abbracciò sua figlia per qualche secondo.

“Papà ma sei bianco come un lenzuolo. Ma cosa è successo”.

“Niente, niente Claire. Ho fatto un brutto sogno”.

“Sicuro? Papà mi sembri cosi strano, e sei ancora vestito”.

“Niente di particolare. Solo un altro incubo sul divano, stavo andando a letto”.

“Si andiamo a letto papà, è tardissimo. Domani ci aspetta Aska”.

“Si, hai ragione, andiamo”. Concluse Julien.

“Papà ricordati di spegnere la luce nella stanza di Aska, dai domani tornerà”.

Julien fu trapassato da una lama di terrore: la luce non l’aveva accesa Claire. Non era in grado di capire cosa fosse successo, chi e cosa sia venuto a casa, e soprattutto se tornerà. Era gonfio di timori, ma li portò a letto con sé.

“Sì Claire, ci penso io. Notte amore, a domani”.

“Notte papà, cerca di riposare”.

L’opera è depositata ai sensi dell’ articolo 67 , documento SIAE N°2019000222, in data 29/01/2019

15 Comments

      1. Grazie a te di saper scrivere.
        Quando ti cerco, però, vengo indirizzata a un altro blog che ha il tuo stesso nome e la tua stessa immagine. Non prendertela se non mi vedi arrivare appena pubblichi. Devo cercarti prima tra le mie notifiche, per arrivare qui… ma arrivo😜

        Piace a 1 persona

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